Il mercato sembra essere particolarmente sensibile alle marche d’impresa che prendono posizione, sociale, politica o socioeconomica che sia. I consumatori, i futuri acquirenti, sembrano insomma preferire le marche impegnate, quelle che ci mettono la faccia, amano il coraggio, raccontano il mondo contemporaneo e l’attualità. Un marchio che si impegna a realizzare una sua missione, con una brand purpose definita. Cos’è una brand purpose? Un’idea che viene perseguita dall’azienda, una maniera di fare business che dichiara al mondo intero di non essere solo venditori di prodotti ma di perseguire, attraverso essi, un ideale più alto. La brand purpose deve però essere autentica, voluta e sostenuta da tutte le posizioni aziendali, dai vertici sino alla base, deve essere nel dna del marchio perché ispirata e realizzata nei valori proposti. Nessuna bugia, niente scherzi. Se un’azienda dichiara il suo attivismo ma questi si rivelasse infondato o solo uno slogan, sarebbe un boomerang devastante per l’azienda stessa.

Parlando di brand activism si cita spesso una pubblicità della big company Nike di qualche anno fa, dove il famoso marchio americano utilizzava come testimonial il giocatore di football Colin Kaepernick, il cui gesto di inginocchiarsi durante l’inno statunitense lo rese famoso in tutto il mondo come simbolo della protesta dei giocatori della NFL contro gli abusi della polizia nei confronti degli afroamericani. https://www.agi.it/estero/nike_campagna_trump_football_colin_kaepernick-4340942/news/2018-09-04/ Un gesto fortemente politico in cui l’azienda si schierava apertamente contro l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Una brand attiva sembra guadagnarci in reputazione e sviluppare il business. Infatti i risultati in termini di vendite diedere ragione alla Nike (dopo un iniziale crollo in borsa nei giorni successivi alla campagna pubblicitaria), brand che ha aumentato sempre più la penetrazione nel segmento di mercato più giovane.

Un esempio più recente è la scelta di Patagonia, brand di abbigliamento cult nell’outdoor. Il fondatore Yvon Chouinard, nel corso del 2022, decise di trasferire tutte le quote societarie a due  organizzazioni no profit impegnate nella lotta al cambiamento climatico. La brand da sempre attenta al contenimento dell’impatto industriale sul pianeta e alla sensibilizzazione dei consumatori al rispetto dell’ambiente, sarà ora controllata da due nuovi enti presieduti dalla famiglia Chouinard che beneficeranno di tutti i profitti non reinvestiti nel business e che serviranno a finanziare attività per affrontare la crisi climatica e difendere la natura.

Il pianeta ora è il nostro unico azionista”, sono le parole del fondatore in una lettera aperta. Il messaggio di Patagonia è adamantino: siamo un’azienda, l’obiettivo è vendere, “preservare la salute finanziaria della società e tenere sempre in considerazione l’impatto che la nostra attività ha sui dipendenti, sui clienti e sulle comunità, nonché sulla salute e sulla vitalità del mondo naturale.” Una brand che fa dell’attivismo la sua bandiera senza nessuna paura di schierarsi e di prendere, conseguentemente, decisioni coraggiose come quella descritta. https://www.ventisettedigital.com/la-storia-di-patagonia-e-il-valore-del-brand-purpose-ventisette/ (Per Patagonia ho preso spunto dall’articolo di M. Ballestrazzi che leggete nel link).

Kotler e Sarkar ci hanno scritto su un libro, dal titolo Brand Activism appunto, che spiega e racconta come la scelta di essere attivisti è oggi sempre più obbligata, scelta precorritrice non solo di trend ma sostenitrice di azioni concrete per il benessere dell’individuo e della collettività.

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Luca Scrimieri

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