Quando la pubblicità non funziona.

Gran parte della pubblicità in giro in questo periodo, incrociata sui vari media che frequento, un po’ per lavoro e un po’ per passione, è inutile. Oserei dire tutta. Nessun azienda, nessun marchio ha attuato programmi di marketing interessanti e stimolanti, a parte rare eccezioni che si contano sulle dita di una mano. Il fenomeno non è solo locale ma nazionale. Se tale fenomeno si avverte di più sui media locali dove ci si è anche abituati a digerire brutte se non bruttissime pubblicità (è sufficiente dare uno sguardo agli spot circolanti nelle televisioni, nei quotidiani e nelle radio locali), a livello nazionale il fenomeno è ancora più preoccupante in quando sintomo di un settore gravemente malato, quello del marketing e della comunicazione che non sta riuscendo a intercettare la domanda, a condizionare l’offerta e a declinare il tutto in una creatività e un metodo che funzioni e porti risultati. A parte poche eccezioni, che a ben vedere basano in realtà il loro successo grazie ad una pressione e una copertura pubblicitaria importante, che gran parte delle aziende italiane non può permettersi, in giro c’è veramente il delirio. Advertising televisivo: inconcludente. Sorbirci testimonial più o meno famosi che non hanno alcuna attinenza con il prodotto che reclamizzano e che servono solo a mantenere alta la memoria di un jingle e quindi del marchio sembra essere la nuova moda imperante. Assistiamo a inchini navali dentro una storia di Dolce Vita banale e insipida, ad avventure strampalate pur di non rinunciare ad una tazza di caffè, ad un robot sperduto e alienante, ad occasioni mancate da parte di un noto pastificio pugliese che ha la possibilità di pubblicizzarsi in televisione e che offre il fianco ai suoi concorrenti che potrebbero approfittarne per sferrare un colpo mortale, se solo volessero. Pensiamo al Natale appena passato: nessuna reale innovazione di prodotti alimentari (anzi l’unico commercial degno di attenzione si è basato sul ritorno alle origini sfidando, più o meno inconsapevolmente lo stile vegano), nessun oggetto pubblicizzato degno di essere regalato in questo Natale. Per non parlare dei profumi, tutti uguali, tutti simili, tutti inneggianti a fascini e stili ormai desueti e fuori luogo. Insomma tutto vecchio, tutto stantio, già visto, grigio, confuso, invisibile. Qualsiasi settore si prenda ad esempio (vogliamo parlare delle auto?) si assiste sempre alla solita solfa. E’ sufficiente sfogliare un qualsiasi quotidiano/rivista per provare la medesima sensazione di disgusto. Il problema non riguarda solo l’advertising. Anche le attività outdoor o indoor sembrano incapaci di fornire un’esperienza per cui valga la pena comprare o al limite ricordare il marchio interessato. Marchi, prodotti che non riescono a fare quel salto nell’esperienziale tanto auspicato da teorici e guru del marketing per arrivare a constatare, molto più basicamente, che vi sono ancora prodotti che non mantengono le promesse, approcci commerciali discutibili, servizi alla clientela disordinati e improvvisati. Insomma dov’è finita la comunicazione, quella vera, dov’è il marketing, quello corretto? Per non parlare dei social dove l’instant marketing o real marketing che dir si voglia imperversa tra piccoli e grandi marchi. Post che suscitano simpatia, strappano sorrisi, ma non raccontano benefit, non inducono all’azione, non hanno alcuna utilità per le vendite. Grandi aziende che postano immagini dalla dubbia qualità come potrebbe fare il peggior utente della rete. Insomma si investono tanti soldi ma li si potrebbe tranquillamente dedicare ad altro. Sarebbe interessante dare uno sguardo ai risultati di vendita e a qualche altro indice per confermare quanto detto senza ombra di dubbio. In ogni caso le notizie generali dell’andamento di gran parte dei marchi cui si allude non smentiscono quanto sostenuto. Sono marchi in difficoltà, le cui problematiche derivano indubbiamente da un pessimo marketing, da cui deriva imprescindibilmente una pessima comunicazione.

Veniamo alla pubblicità locale. Facciamo finta di non aver visto annunci stampa, affissioni e patetici tentativi spacciati per eventi e p.r. La cosa imbarazzante, constatata direttamente, è che nessun marchio, nessuna attività, (nessun locale, nessun ristoratore ad esempio), ha attuato, rispetto a questo periodo dell’anno, un marketing di avvicinamento. Quante opportunità perse, quanto spreco di risorse, quante sinergie mancate in una terra che si definisce turistica e accogliente per vocazione. In cosa consista un marketing di avvicinamento lo vedremo tra poco. Ora basti dire che una campagna di marketing si basa essenzialmente su due fattori fondamentali: strategia e pianificazione. Nel primo caso si parla di brand, posizionamento e target. Nel secondo di media, strumenti e tempi. Nulla di complicato se gestito bene, dagli effetti micidiali se non si sa di cui si sta parlando. Allora: hai un brand forte o sei l’ennesima copia di qualcosa? Hai valori da proporre al mercato? Sai cosa comunicare? Hai un messaggio? Chiaro, definito? Rispetta il tuo posizionamento? Le attività messe in campo lo sostengono, lo nutrono? Come? In che tempi? Il prodotto/servizio che vendi mantiene le promesse insite nel posizionamento? Hai un piano di azione? Se vuoi saperne di più ti consiglio anche la lettura dell’articolo Come avere un marketing potente. E di approfondire il concetto di posizionamento. (Ndr.: Il branding e il posizionamento sono concetti basilari. Quest’ultimo, teorizzato da Al Ries e Jack Trout nel 1972 e riportato in Italia, fuori dagli ambienti accademici, da Frank Merenda, da non trascurare assolutamente in nessun piano di marketing che si rispetti).

Programma marketing di avvicinamento: rispetto ad una data o ad un evento mettere in campo una serie di azioni che preparino il pubblico e lo accompagnino nella scelta e conseguentemente nell’acquisto. Non si tratta di una semplice campagna, magari ripresa più volte, ma della pianificazione di più azioni ognuna delle quali ha un obiettivo preciso.

Gli obiettivi variano a seconda delle aziende ovviamente tenendo conto di tanti fattori, a partire dal prodotto, dal brand, dal posizionamento, dall’immagine, dalla reputazione e dagli obiettivi che si vogliono raggiungere fase per fase e coralmente. Un programma del genere si struttura pertanto in più momenti, in obiettivi intermedi che concorrono all’obiettivo finale. Immaginate una catena composta da più anelli. Così come ogni anello concorre alla forza della catena complessiva, in un programma del genere la fase precedente contribuisce a realizzare un qualcosa che ha senso per la fase stessa e che rafforza anche quella successiva, in un quadro coerente di attività.

La prima fase ad esempio può generare attesa e curiosità, la seconda rivelare una serie di informazioni, la terza connotare vantaggi e fatti principali, la quarta scendere nei dettagli. In un arco temporale medio-lungo si ha la possibilità di incuriosire, attrarre, informare e selezionare. Oppure le prime fasi finalizzate ad informare, le successive a spiegare i differenti vantaggi e invitare all’azione. Immaginate la potenza di un programma del genere rispetto a quanti si limitano a fare un po’ di affissioni, un po’ di annunci stampa, un po’ di volantinaggio, un po’ di social. La tecnica che pervade tutto il programma è un mix ragionato di teaser (attesa) e storytelling (narrazione di storia) e marketing diretto. Concepita un’idea, un messaggio, all’interno di una strategia ben precisa, definiti una serie di obiettivi intermedi e finali, la conseguente copertura corretta sui media, scelti in funzione delle strategia ovviamente, ne permetterà la più ampia diffusione e riconoscibilità. Ideale per un nuovo marchio e una nuova attività, utilissimo per chi necessita di riposizionarsi sul mercato, indispensabile per chi ambisce a diventare leader nel suo settore, tale programma se ben concepito può garantire il successo di qualsiasi iniziativa. Prestato direttamente dall’armamentario delle grandi multinazionali, che in tempi passati lo usavano molto bene, ispirato dalle tecniche pubblicitarie americane degli anni ’50, migliorato dalle possibilità metriche (misurabili) dei nuovi media, un programma di avvicinamento è un piano di azione potente e completo, che, in sintesi, si distingue da una normale campagna multimediale per due fattori.

Il primo è l’orizzonte temporale che mediamente è sensibilmente più lungo rispetto ad una ordinaria campagna di marketing, il secondo è che ogni fase, pur essendo intermedia, rispetto all’obiettivo finale, permette di raggiungere obiettivi concreti in differenti momenti e preparare i successivi.

Per questo la pubblicità non funziona perché non è inserita in un programma di marketing, perché non si hanno obiettivi concreti, perché l’approccio non è pianificato, non è previsto, non è studiato. Probabilmente è giunto il tempo di cambiare.

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Luca Scrimieri

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