La pubblicità è un’arte? O no?

È scienza o si tratta solo di intuito, istinto, creatività e basta?

L’advertising è genio creativo, arte o psicologia?

O è solo un’applicazione del quotidiano che usa tecniche più o meno raffinate prestate dalle scienze umane, psicologia e antropologia in primis, e poi perfezionate da artisti e designer?

Per lungo tempo si è avuto il dibattito tra i sostenitori della Teoria forte, che vede la pubblicità, ripetuta nel tempo, come un influsso decisivo sugli atteggiamenti dei consumatori, e i sostenitori della Teoria debole che sottolinea invece come la pubblicità rafforza le convinzioni preesistenti del consumatore. Entrambe le teorie prevedevano un ricevente passivo e manipolabile (cfr. Savarese, Gabriele). I primi creativi pubblicitari erano degli artisti, i manifesti murali nascono dall’arte di Lautrec, Cappiello, Dudovich, Hohenstein. Parlare di scienza era prematuro e strano. Ma nel Novecento già ci si chiedeva se la pubblicità, capace di stimolare fortemente le vendite, non avesse regole, metodi, procedure. Nacque così la contrapposizione, ancora attuale, tra ragione e emozione, tra piani e idee, tra pensiero lineare e laterale.

Due direttrici che hanno alimentato due diverse correnti e modi di intendere la comunicazione.

Lo scientific advertising. Dal 1898 con la nascita del modello AIDA (Elmo Lewis) per proseguire con gli studi di Starch. John E. Kennedy che inventò la reason why e poi Albert Lasker cui si deve l’istituzione del primo reparto creativo interno ad un’agenzia. Claude C. Hopkins per il quale la pubblicità era una scienza e la psicologia aveva un ruolo importantissimo per capire e vendere al consumatore. Rosser Reeves e il concetto di Unique Selling Proposition (USP) e per finire con il più celebre rappresentante della pubblicità scientifica, ovvero David Ogilvy. Tante le sue campagne di successo, Guiness, Rolls Royce per citarne alcune, che ruotavano intorno al concetto di Big Ideas.

L’emotional advertising, che punta invece a persuadere attraverso il coinvolgimento emotivo, l’empatia, la simpatia, i sentimenti. La prima campagna d’attesa risale al 1913 nella quale l’agenzia Ayer annunciava che “i Cammelli stanno arrivando” (pubblicità delle sigarette Camel). Famosi esponenti della pubblicità estetica ed emotiva erano Raymond Rubicam che nel 1923 fonda assieme a John Young l’omonima agenzia ancora famosa oggi, Bill Bernbach cui si deve la “rivoluzione creativa” fondata sui minus più che sui plus e la nascita della coppia creativa (art+copy).

Il discorso quindi riguardo al fatto se la pubblicità sia una scienza o un’arte è troppo complesso per essere affrontato in questa sede. Di certo è che la pubblicità fornisce informazioni sul prodotto insieme a tutta un’altra serie di elementi quali colore, confezione, musica ognuno dei quali ha un suo preciso ruolo e significato così come si può anche tranquillamente affermare che molte pubblicità sono vere e proprie manifestazioni d’arte, non a caso molti poster disegnati da Lautrec e Depero sono esposti al Louvre e molte correnti artistiche a partire dal dadaismo, futurismo e scuole di design europee hanno largamente sperimentato concetti e idee ritrovati poi in pubblicità. Se si avesse il tempo di entrare nei dettagli scopriremmo tanti distinguo che farebbero pensare alla pubblicità come ad un’arte minore, applicata al commercio (cfr. P. Diaferia) e che porta con sè sempre una funzione commerciale, che l’arte pura non ha. Mentre è il marketing, che spesso viene confuso con l’advertising, che propriamente dovrebbe essere più scientifico e metodico e che nei suoi processi dovrebbe fornire alla pubblicità, sua leva operativa, i perimetri nei quali agire creativamente e artisiticamente. Discorso complesso ma affascinante.

Luca Scrimieri su testo di Adele Savarese e Emma Gabriele (A lezione dai Mad Men).

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Luca Scrimieri

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