Il rapporto tra creatività e strategia e, conseguentemente, tra creatività e marketing è stato sempre un rapporto difficile, una relazione che è ancora distante dal trovare un equilibrio. Bisognerebbe innanzitutto chiedersi cosa è  la creatività e in che termini la pubblicità si riconosce in essa. Dare una definizione di creatività è compito altrettanto arduo.
Il matematico Henri Poincare’ nel 1908 definirà la creatività come “la capacità di associare elementi esistenti in nuove combinazioni, utili” e i suoi suggerimenti saranno ripresi nel 1926 da Graham Wallas che a New York, nel tempio della pubblicità, formulerà quello che ancora oggi viene ritenuto un validissimo modello di descrizione del processo creativo, dividendolo in quattro fasi: preparazione, incubazione, intuizione, verifica. A questo modello, nel tempo, ne sono seguiti molti altri ma esso rimane tuttora il più semplice ed efficace e, aggiungendo una fase di decondizionamento e una fase di stimolazione, diventa anche uno dei più completi. È a questo modello che Bill Bernbach, giusto per citare uno dei più grandi creativi di tutti i tempi, si ispira. (Cfr. Mara Mancina, Bill Bernbach e la Rivoluzione Creativa). Il pensiero di Bernbach in proposito si può leggere nella prefazione al libro ‘Tecniche per produrre idee’ di James Webb Young. Egli scrive “un chimico può senza problemi mettere insieme un corpo umano. Ciò che non può fare è infondergli la scintilla della vita. Young scrive sulla scintilla della creatività, l’idea, che porta spirito e vita a un messaggio pubblicitario“. È l’idea quindi l’anima della pubblicità creativa. Una grande idea, concetto che verrà ripreso poi anche da David Ogilvy (The big idea). Ma ad essa deve seguire una corretta esecuzione altrimenti l’idea, per quanto brillante possa essere, rimarrà solo una grande idea. Ed è nella fase dell’esecuzione che si riprende la strategia, per un continuum con gli obiettivi dell’azienda (e qui fa capolino il marketing sia aziendale che d’agenzia beninteso), elementi di successo della comunicazione. Infatti non a caso nelle vere agenzie creative si parla di problema di marketing, obiettivi aziendali legati alla comunicazione, strategia, processo creativo, esecuzione, feedback sulla strategia. E qui si ricompone il rapporto tra creatività e strategia.
Questo potrebbe non piacere ai creativi, che si ritengono in genere liberi da schemi, processi e definizioni, e generalmente coinvolti solo nel momento della produzione delle idee. Ma se ci credeva Bill Bernbach, fondatore della rivoluzione creativa, inventore della coppia creativa, socio della DBB, agenzia che, dagli anni ’50 in poi, fornirà esempi di creatività da rimanere sbalorditi, ci possono credere anche i nostri creativi contemporanei. Dopo di lui la pubblicità non fu più la stessa (ndr). Anzi, visto lo stato dell’arte della pubblicità, dovrebbero crederci un po’ di più e, insieme ad essi, anche la maggior parte dei marketing general manager che dir si voglia delle varie imprese italiane. Lo stesso Bernbach ritiene che la qualità di un’idea dipenda da molti fattori, non ultimo l’istinto, il bagaglio culturale e i geni ereditari ma, badate bene, ognuno di “noi trarrà il massimo vantaggio da tutti questi fattori se seguiremo le procedure qui esposte” (cfr. ancora su Bernbach il testo di Mara Mancina). Bernbach insisteva su questo. Niente regole perché quelle si uccidono la creatività ma un metodo, che nel suo caso partiva sempre imprescindibilmente dalla conoscenza del prodotto e dalla consapevolezza che la pubblicità deve aiutare a vendere. Ancora una volta si ricompone il rapporto tra creatività e strategia.

“Chi lavora in pubblicità senza ammettere che lo scopo finale è vendere un dato prodotto è un impostore” chiudendo ancora con l’aiuto di Bernbach.

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Luca Scrimieri

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